Cronistoria dell’angioplastica coronarica: cenni di Cardiologia interventistica, modalità di intervento, la prevenzione cardiologica

Prima di entrare nel vivo dell’angioplastica coronarica quale modalità di intervento per risolvere restringimenti o occlusioni di vasi sanguigni, ci immergiamo in una breve cronistoria della cardiologia interventistica.

La cardiologia è la branca della medicina a nostro avviso più affascinante.

E da quando in questa disciplina inizia a prendere piede un aspetto interventistico, l’attrazione che ne deriva è ancora più forte.

La pratica clinica della stessa diventa imprescindibile dal concetto di medicina pioneristica e all’avanguardia.

La storia della cardiologia interventistica o più comunemente chiamata in Italia emodinamica, ha le sue origini nel 1929,  anno in cui Werner Forssman, presso l’Università Humboldt di Berlino, pubblicò il 5 novembre 1929 “Über die Sondierung des rechten Herzens”, Sul cateterismo del ventricolo destro. Egli inserì su sé stesso, in maniera del tutto autonoma un tubicino di plastica per urologia nella vena del braccio guidandolo fino alle cavità destre del cuore, quindi realizzò una radiografia che pubblicò nella sua tesi.

La tecnica come spesso succede non prese piede per molto tempo, anche perché apparentemente pericolosa per i tempi, soprattutto per la mancanza di materiali adeguati, ma forse anche perché risultava troppo all’avanguardia rispetto ai tempi.

Nel 1953 il radiologo Sven Ivar Seldinger, presso l’Istituto Karolinska a Stoccolma in Svezia, ideò e mise in pratica una tecnica semplice e sicura per introdurre un catetere in un vaso in maniera cosiddetta “percutanea”, cioè senza incisione chirurgica, ma effettuando una puntura diretta del vaso attraverso la cute.

Nel 1959 Mason Sones, cardiologo pediatrico della Cleveland Clinic, mentre eseguiva un’aortografia, iniettò accidentalmente del mezzo di contrasto nella coronaria destra di un paziente di 27 anni, ottenendo per la prima volta l’opacizzazione selettiva di un’arteria.

Nel 1963 Charles Dotter  alla Cornell University di Ithaca nello stato di New York, disostruì un’arteria iliaca durante un’aortografia addominale senza volerlo, da allora ancora oggi in lingua inglese il termine “dottering” significa aprire un vaso sanguigno, un’arteria nello specifico.

Nel 1968 Melvin P. Judkins presso l’Oregon University, realizzò una serie di cateteri diagnostici che ancora oggi utilizziamo in sala di emodinamica per la semplice coronarografia: Judkins curva sinistra (JL), Judkins curva destra (JR) e catetere pig tail (a coda di maiale) per eseguire la ventricolografia.

Finalmente nel 1977 Andreas Roland Grützing presso il Thomasschule di Leipzig in Germania, un medico tedesco, eseguì la prima angioplastica coronarica su un paziente cosciente e sveglio, dilatando con un catetere a palloncino un restringimento (stenosi), della coronaria sinistra di un uomo di 39 anni, dando inizio ad una nuova era, trattare la malattia coronarica con un metodica molto meno invasiva e soprattutto atraumatica in confronto alla cardiochirurgia. Questa tecnica venne successivamente descritta come angioplastica percutanea con solo pallone POBA (plain old balloon angioplasty), nella pratica clinica si esegue a livello della stenosi coronarica un gonfiaggio del pallone schiacciando la placca aterosclerotica, appunto per ripristinare il flusso del vaso ostruito.

Un difetto della tecnica ai tempi, però, era quello di avere una notevole incidenza di restenosi post-intervento, (effetto recoil) che avveniva fino al 30% dei pazienti a 9 mesi dalla procedura. Per questo motivo fu costruito in collaborazione con l’ingegneria medica lo stent: un dispositivo biocompatibile a maglie intrecciate che viene rilasciato e prende la forma di un tubicino grazie alla pressione trasmessa dal palloncino appositamente montato dentro di esso. Il pallone si gonfia dall’esterno con un sistema di gonfiaggio munito di manometro chiamato indeflator, che appunto rilascia lo stent ad alte atmosfere e che con forza a pressione si attacca alla parete del vaso. Esistono varie misure di stent in commercio: per diametro da un minimo di 2.25 mm ad un massimo di 5 mm e per lunghezza da poco meno di 1 cm ad un massimo di circa 5 cm.

Il primo stent composto da leghe metalliche biocompatibili, fu impiantato nel 1986: la collaborazione di due medici Puel Rangueil (Hospital – Toulouse, France) e Ulrich Sigwart (University Hospital, Lausanne, Switzerland) fu molto proficua, furono i primi medici ad impiantare uno stent autoespandibile, il Wallstent (Schneider AG, Bulach, Switzerland).

L’anno successivo nel 1989 arrivò finalmente il balloon-expandable stent (Palmaz-Schatz, Johnson&Johnson, New Brunswick, New Jersey), impiantato da Palmaz e Schatz, che ricevette anche l’approvazione dalla Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia americana del farmaco.

Nel 1999 Eduardo Sousa, a San Paolo in Brasile, presso l’Istituto Dante Pazzanese di Cardiologia impiantò il primo stent medicato, DES (drug eluting stent), uno stent metallico ricoperto da farmaco sirolimus capostipite dei comuni stent ancora attualmente utilizzati.

Ad oggi gli stent medicati coronarici sono per la maggior parte balloon expandable e sono considerati la terapia “gold standard” per la risoluzione della sindrome coronarica acuta e cronica e sono inoltre riconosciuti e raccomandati dalle varie comunità scientifiche internazionali.

Fino al 1992 tutte le coronarografie venivano effettuate tramite accesso transfemorale, la vera e propria svolta si ebbe nel 1993 anno in cui Ferdinand Kiemeneij, presso l’OLVG di Amsterdam in Olanda, effettuò per la prima volta una procedura di angioplastica tramite l’utilizzo di accesso radiale. Da allora in avanti è stato progressivamente utilizzato nella maggior parte dei paesi occidentali. Dal 2012 l’utilizzo anche in urgenza dell’accesso radiale fu raccomandato dalle linee guide europee finché nel 2017 divenne mandatorio. L’accesso radiale si effettua tramite puntura a circa 2 cm cranialmente rispetto alla cresta di flessione del polso. Ma quale è la differenza tra i due accessi? In primis la minore incidenza di complicanze che sono state registrate nei vari anni e nel corso dei vari studi, ma anche la velocità di recupero del paziente che può alzarsi subito dopo aver eseguito una procedura.

Definizione di Angioplastica Coronarica

Ma entriamo nello specifico con il termine angioplastica si intende la riapertura di un restringimento (stenosi) o di una occlusione di un vaso sanguigno, mediante il gonfiaggio all’interno del vaso di un catetere a palloncino. La riapertura può essere effettuata tramite solo pallone, POBA (Plain old balloon angioplasty) appunto come accadeva in passato, o tramite l’inserzione di uno stent, PTCA (percutaneous transluminal coronary angioplasty). Questa tecnica fortemente innovativa ha evitato milioni di interventi cardiochirurgici senza dover ricorrere all’apertura dello sterno e l’operazione chirurgica di bypass aortocoronarico.

Le stenosi sono generalmente dovute alla presenza di placche aterosclerotiche che crescono nel corso degli anni nei soggetti a rischio. Esse possono dunque coinvolgere qualsiasi arteria del corpo umano. Quando le stenosi coinvolgono le coronarie, ossia le arterie del cuore, provocano un ridotto apporto di sangue ed ossigeno al cuore, con la comparsa di angina pectoris (angor) che equivale ad un episodio di ischemia miocardica.

Ricordiamo che i maggiori fattori di rischio sono la presenza di ipercolesterolemia, diabete, ipertensione arteriosa, abitudine tabagica ed una familiarità per malattie cardiovascolari

Ma come si effettua l’intervento di angioplastica?

La procedura è effettuata dal cardiologo specializzato in interventistica coronarica nel laboratorio (sala) di emodinamica.

Prima si effettua una anestesia locale nell’accesso arterioso che si decide di percorrere. Generalmente si utilizza l’arteria del polso (la radiale) o in alternativa l’arteria dell’inguine (la femorale), e quindi si introduce un catetere (uno strumento tubulare di diametro di circa 2mm della lunghezza di circa 100cm) fino all’origine delle arterie coronarie. Poi si inietta del mezzo di contrasto all’interno delle coronarie che mediante controllo radiologico permette la visualizzazione dell’anatomia del vaso grazie alle sue proprietà radiopache.

A questo punto trovata l’ostruzione si avanzerà un filo “guida” metallico di circa 0,35mm (0.014inch) di diametri e lungo circa 180 cm all’interno della coronaria fino a raggiungere e oltrepassare la stenosi. Sul filo guida si farà avanzare un catetere munito di palloncino, che viene gonfiato a pressione controllata (da un minimo di 6 ad un massimo di 24 atmosfere), esso schiaccia la placca ateromasica contro la parete dell’arteria e ripristina in modo più o meno completo il lume del vaso che quindi diventa più ampio. A questo punto è possibile inserire lo stent. Tutte le fasi dell’intervento saranno salvate tramite immagini e video che vengono immagazzinate nella memoria dei computer ospedalieri.

Articolo a firma di:

Dottor Carlo Andrea Stazi
Dirigente Medico I livello – Cardiologia/Emodinamica 
Ospedale Belcolle Asl Viterbo

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